Woolf, Leonard - La morte di Virginia

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    Il 28 marzo 1941 Virginia Woolf appoggia il suo bastone da passeggio sull'argine dell'Ouse e poi si getta ielle acque del fiume. La depressione che la tormenta da anni con crisi acute che durano mesi, l'ha inghiottita nell'abisso di una disperazione assoluta. Nella lettera con cui si congeda dal suo caro Léonard scrive: "Sono certa che sto per impazzire di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non mi riprenderò". Quelli che Léonard Woolf - storico, politico, editore, saggista - racconta in questo capitolo della sua autobiografia sono gli ultimi mesi di vita di Virginia. E sono anche i mesi iniziali del secondo conflitto mondiale: prima la "strana guerra", a partire dal settembre 1939, con la lancinante tensione dell'attesa mentre sul continente i tedeschi avanzano inesorabilmente in un Paese dopo l'altro; e poi la guerra vera con i bombardamenti su Londra, lo sfollamento, i morti. Léonard Woolf descrive e analizza gli eventi, racconta la loro vita di tutti i giorni, il suo lavoro alla Hogarth Press e per il Partito Laburista, i libri di Virginia, e i loro amici (Vita Sackville-West, Morgan Forster, Adrian Stephen e altri). E soprattutto cerca di ricostruire la discesa nell'abisso della sua amata moglie, incrociando i suoi ricordi con i brani del diario di Virginia (alcuni del tutto inediti), nella vana ricerca di una consolazione e di un sollievo dal rovello di una sofferenza profonda e di un vuoto incolmabile.

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    Leonard Woolf parte da molto lontano per parlare degli ultimi mesi di vita di Virginia e lo fa seguendo un suo percorso mentale che sembra casuale ma non lo è, perchè come egli stesso specifica la biografia di una persona non è fatta di eventi cronologici che si susseguono in linea retta.
    La sua riflessione parte dal 1939 facendo un paragone tra l’inizio della prima guerra mondiale e la seconda, la prima colse tutti di sorpresa, la seconda molto meno e con la consapevolezza di sapere già a cosa si sarebbe andati incontro, anche se poi la realtà superò ogni più nefasta previsione.
    In più c’era il terrore di essere invasi, anzi, era un evento che tutti si aspettavano da un momento all’altro, tanto che molti pensavano al suicidio nel momento in cui i tedeschi avessero messo piede sul suolo britannico.
    Vita Sackville West e il marito Harold si erano procurati uno “stiletto”, Adrian Stephen fratello minore di Virginia si procurò del veleno e ne offrì alla sorella e a Leonard, anch’essi ben decisi di porre fine alla loro vita piuttosto che finire in mano dei nazisti.
    La prima e articolata digressione di Leonard, ve ne saranno altre essendo questa la cifra del suo stile di scrittura (e a questo proposito ricevette spesso delle critiche), riguarda il concetto di “io”, laddove se si riconosce nell’altro questa peculiarità così come siamo consapevoli della nostra è difficile compiere dei massacri: “Si può compiere un massacro solo se si considerano le vittime non come individui simili a noi, ma come semplice pedine o cifre anonime”.
    E qui inserisce un’altra lunga digressione sul caso Dreyfus, “come di un evento chiave nella storia contemporanea, un simbolo dell’eterna lotta tra barbarie e civiltà”, come evento simbolo della giustizia e di come viene manipolata (sul caso Dreyfus ne parla ancor più diffusamente in Sowing opera autobiografica del 1960 peccato non sia stata pubblicata in Italia), e tornando al secondo conflitto mondiale, chiude le due digressioni riepilogando come il mondo (nazisti e fascisti) era tornato a guardare gli esseri umani come pedine e non come individui e di come in Russia, Germania, Italia ci fossero centinaia se non migliaia di Dreyfus.
    Questi erano in sostanza i temi di discussione più frequenti tra lui, Virginia e i loro amici, con i quali nonostante i bombardamenti su Londra, le difficoltà evidenti, non avevano mai smesso di incontrarsi in serate dedicate non solo a discussioni politiche o sociali, ma anche riguardo la letteratura e la scrittura, fra i loro amici Kingsley Martin, T.S. Eliot, Rose Macaulay, Vita Sackville. Per tutta la durata del conflitto la casa editrice Hogarth Press, fondata da Leonard e Virginia, non smise mai di pubblicare, anche quando i locali vennero bombardati e trasferirono macchinari e libri in campagna, a Rodmell, dove peraltro andarono a vivere in pianta stabile.
    La loro vita in campagna si svolgeva tra le occupazioni quotidiane, la scrittura, Virginia stava completando un romanzo, si occupavano dell’orto, del pranzo, e nel pomeriggio facevano lunghe passeggiate, giocavano a bocce, ascoltavano la musica e leggevano. I raid aerei tedeschi erano frequenti, così come il passaggio di truppe che spesso si accampavano presso di loro e a cui Leonard e Virginia offrivano ospitalità agli ufficiali in casa, e a questo proposito racconta un paio di bellissimi episodi.
    Così come ricorda le visite di Vita Sackville West e in particolare di una loro gita ad un castello. La loro vita si svolgeva insomma in maniera serena nonostante il contesto, fu solo un paio di mesi prima del suicidio di Virginia che la depressione si ripresentò violentemente prendendo il controllo della sua mente, Leonard con rammarico si chiede come non avesse avuto alcun presentimento, apparentemente Virginia sembrava calma, serena, la loro vita si svolgeva in una routine piacevolmente monotona, dal suo diario del 12 ottobre del ‘40:
    “Siamo così liberi, così tranquilli. Nessuna visita. Nessuno in casa. Pranziamo quando vogliamo. Viviamo in modo essenziale.”
    E due giorni dopo scriveva “ … un giorno come questo è persino troppo … non dirò felice: ma gradevole. E’ tutto così divinamente libero e facile: soltanto io e L.”
    V. Aveva tentato già due volte il suicidio nella sua vita, l’idea della morte era sempre ben presente in lei, e nel 1940 la morte era ovunque intorno a loro, eppure scrisse: “Ho detto a L.: non voglio ancora morire”.

    Ma era una tranquillità apparente, a fine novembre scrive “Moltissimi pensieri oscuri mi si sono presentati. E poi sono fuggiti via.”

    A fine gennaio del 1941 un violento attacco depressivo la colse e la tenne prostrata per una decina di giorni, cadde in quello che lei chiamò “un baratro di disperazione”, ma poi sembrò riprendersi, “perchè ero depressa, non riesco a ricordarlo”, e riprese una vita normale, andarono a Cambridge un paio di giorni ricchi di incontri intellettuali, e si recarono in altre località, di ritorno a casa in campagna, V. invitò la sua amica scrittrice Elizabeth Bowen e Vita Sackville, sembrava perfettamente padrona di sé e felice di tanti stimoli intellettuali.
    L’8 marzo però scrive “Oh sì, accidenti, sconfiggerò questo stato d’animo.”
    Da una sua annotazione si evince che appena quattro giorni prima del suicidio stava progettando di scrivere un libro.
    Fino al fatale 28 marzo.
    La lettera di commiato che lascia a Leonard è struggente e rivela l'assoluta lucidità del suo stato mentale. Ma come scrisse ad una amica: “Ho lottato, non ce la faccio più”.
    Mi sono commossa, non lo nego, Virginia Woolf è una delle scrittrici che più amo e ho amato, era una vera intellettuale, aveva una mente razionale, una sensibilità fuori dal comune, una capacità letteraria originale e unica. La sua malattia ci ha privati tutti del suo straordinario talento. Mai la ringrazierò abbastanza per “La signora Dalloway” una delle letture più belle che io abbia mai fatto, una delle più coinvolgenti e indimenticabili. Ora non mi resta che leggere i diari e i carteggi, in particolare quello recentemente pubblicato tra lei e Vita Sackville West.

    Leonard Woolf. Non lo conoscevo come scrittore questa è la prima volta che lo leggo e sicuramente leggerò anche “La mia vita con Virginia”, mi è piaciuta la sua scrittura, lineare nonostante le sue digressioni, anzi ancor più chiaro e diretto il suo pensiero proprio grazie alle sue divagazioni che ovviamente non sono casuali.

    :lock:

    Edited by Itaca - 16/4/2024, 11:48
     
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